Bisognerà attendere per saperne di più, ma leggendo le bozze che girano nei canali d’informazione riguardo al nuovo Reddito di cittadinanza che dovrebbero essere discusse, ufficialmente approvate dal ministro Roberto Calderone e poi mandate in CDM una idea ce la possiamo fare. Analizzando le “indiscrezioni” che provengono dalle piattaforme web, prendiamo atto, almeno per il momento, che al netto delle risorse della legge di bilancio per sostenere il costo delle bollette e non per l’assegno unico che è già stato finanziato con la legge di bilancio precedente, le risorse per il RDC, che dovrebbe denominarsi MIA, sono destinate a una platea del 30 % in meno.
Ciò in conseguenza dell’Isee abbassato da 9.360 euro a 7.200 per la domanda di possibili percettori del sussidio, prevedendo l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e, quindi, formazione per essere occupati. Tutto ciò è affidato all’ennesima “nuova” piattaforma digitale in capo ad Anpal che esiste già ma fino a ora non ha dato segni di virtuoso funzionamento. Il tutto sotto lo slogan politico che sostiene la riduzione dei percettori del sussidio. Un clamoroso errore politico di fondo quello di confondere i sussidi per la povertà con le politiche attive per il lavoro. Di fatto, la diminuzione da 8,8 miliardi a 7 miliardi senza una riforma vera e propria crea solo incertezza e confusione.
Siamo sostenitori del fatto che sia necessaria una riforma complessiva delle politiche del e per il lavoro, ma non a spezzoni, come il governo sta facendo. Il rischio è che le risorse che in questi anni abbiamo impegnato, circa 15 miliardi, siano gettati al vento come per il circuito dei centri per l’impiego regionali che non hanno portato risultati sull’occupabilità. Anpal è l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Promuove il diritto al lavoro, alla formazione e alla crescita professionale delle persone, coordina la rete nazionale dei servizi per il lavoro, è responsabile del sistema informativo del mercato del lavoro e ha fallito già con i Navigator che non riescono neanche a essere assunti dalle Regioni!
In tutto questo tempo, non siamo stati in grado di reperire dati certi dai territori di chi è veramente in povertà, di eseguire un lavoro di censimento, di stabilire che la soglia di povertà ha situazioni diverse. Per esempio, un anziano solo, non autosufficiente, in una città ha chiaramente bisogno di sostegni diversi da altri e solo chi è sul territorio, istituzioni e terzo settore, sanno darti il criterio di orientamento e offrire un sostegno personalizzato.
Per le politiche attive per contrastare la disoccupazione abbiamo bisogno di una pluralità di operatori sul territorio per la formazione perché sappiamo bene quali sono le richieste delle aziende di basse qualifiche ma anche di alta formazione, tuttavia, i tre quarti dei percettori di reddito di cittadinanza ha solo la terza media e spesso neanche quella.
Dunque, come investire i 4,2 miliardi per formazione del Pnrr e Gol (il programma di riforma prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia per riqualificare i servizi di politica attiva del lavoro).
Devono essere spesi nel migliore dei modi e sappiamo bene che la politica degli sgravi alle aziende per assumere stabilmente NON funziona, anche perché non è il bene dell’azienda che chiede percorsi di nuove figure professionali formate. È come drogare il mercato con il metadone.
Dobbiamo subito procedere alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che va cambiata, perché questa confusione tra poteri dello Stato e delle Regioni e dei territori in 22 anni in materia di politiche attive e anche sanità NON ha funzionato e ci ha dissanguato.
Mettere mano e subito all’Art. 117 della Costituzione, chiarendo il ruolo dello Stato e delle Regioni e soprattutto della Conferenza Stato-Regioni, è fondamentale. Partire da lì è possibile solo se la politica ha coraggio.