L’Europa può essere competitiva senza energia a basso costo?
Sembrerebbe di no e corriamo anche il rischio di una sua deindustrializzazione.
La politica energetica Europea non risponde come dovrebbe alle esigenze produttive. Molte aziende, per ridurre i costi energetici lavorano in condizioni estreme. Molte sono le aziende che sono state costrette a rimodulare gli orari di lavoro, concentrando le attività lavorative nei momenti più economicamente convenienti o riducendo le turnazioni, con perdita occupazionale e di salario. Ci sono situazione in cui gli operai, di aziende localizzate in aree dove gli inverni raggiungono gelide temperature, sono costretti a lavorare in tenuta polare perché per risparmiare gas, si muovono a 8 °C invece dei soliti 15°C. Produzioni energivore, dove è possibile, riducono i tempi dei trattamenti per limitarne il consumo del 40%. Aziende che avevano annunciato l’intenzione di convertire l’intera attività alle energie rinnovabili qualche anno fa, tornano al petrolio o al carbone per mettersi in “sicurezza” almeno per i prossimi due inverni.
Migliaia di lavoratori europei, circa 35 milioni, vivono questa fase, il 15% della popolazione attiva. I settori che richiedono gas in Europa, che rappresentano l’81% della domanda, sono cinque, la Chimica, le acciaierie, i cementifici, le raffinerie e le cartarie.
Il problema dei costi dell’approvvigionamento energetico in Europa non è nuovo. Solo nell’ultimo decennio, fino al 2020, il gas europeo è stato tre volte più costoso di quello statunitense. Ma ora il divario è 10 volte più ampio, da quando la Russia ha chiuso i suoi gasdotti e l’Europa si trova dei “conti” che non tornano.
Da anni, la Germania ha approfittato del gas russo a basso costo come moltiplicatore di competitività nella sua produzione industriale e nelle sue esportazioni. Oggi, la chiusura dell’approvvigionamento dalla Russia pone il Paese in una condizione tale da alzare degli scudi per mettere in sicurezza il suo sistema produttivo che impiega oltre un milione di persone.
La Spagna, che a differenza di molti Paesi come la Polonia o la Germania, da tempo ha avviato un processo di transizione energetica verso le energie rinnovabili, chiudendo le sue miniere di carbone e incentivando lo sviluppo del settore “verde” che sta diventando sempre più incisivo per l’industria. Infatti, mentre nel resto dell’Europa il fronte energetico è “grigio”, in Spagna il sole irraggia sicuro sui pannelli fotovoltaici fornendo al Paese la sicurezza dell’approvvigionamento e la stabilità dei costi. Queste condizioni sono un forte stimolo agli investimenti sul territorio spagnolo per l’insediamento di nuove aziende. Inoltre, il Paese dispone di un terzo delle infrastrutture di ri-gassificazione dell’UE e di due gasdotti con l’Algeria. Non a caso, nei primi nove mesi del 2022, la Spagna è stata il terzo esportatore di energia in Europa (secondo Rystad Energy Research), dietro solo a Svezia e Germania. Questo ci fa ben comprendere e immaginarne il suo “attrattivo” potenziale. Tanto è vero che la Volkswagen ha avanzato la possibilità di delocalizzare parte della sua produzione dove più favorevole scatenando l’immediata reazione del potente sindacato tedesco e una scossa per il governo che ha creato un programma di aiuti pubblici da 265 miliardi di euro, alterando il mercato interno e “alterando” i governi europei. La Germania che ha sempre dimostrato la sua capacità di imporre i propri interessi, proprio come ha fatto con la sua errata politica di austerità, ora, con questa iniziativa, rischia di essere messa all’angolo.
L’Europa, alle prese con una guerra in essere ai suoi confini, deve affrontarne anche una già dichiarata interna che è quella energetica. La Spagna, con la sua politica energetica, sta cercando di aggirare il dominio tedesco avvicinandosi alla Francia. Una situazione a cui i Paesi del Nord non sono abituati rispetto a quelli del Mediterraneo che in questa crisi possono coglierne le opportunità. Per questo la Germania continua a chiedere costantemente un allentamento delle norme UE che pongono limiti agli aiuti di Stato alle imprese, lei che ne ha messi sul “banco” 265 miliardi di euro!
Ma qualcosa è cambiato in Europa e vedremo sempre più interventi statali.
Infatti, sebbene il mantra della transizione ecologica goda di ottima “salute” nessuno dubita che l’economia globale sarà fortemente dipendente dal mondo fossile, tanto che la domanda crescerà almeno fino al 2030.
I tempi per una sostanziale transizione energetica e gli alti costi dell’energia, impone a ogni Stato di trovare adeguate condizioni per proteggere i propri interessi fino a quando l’aumento del peso delle rinnovabili, mitigherà l’effetto degli alti prezzi dei combustibili fossili e il loro impatto sul costo dell’elettricità.
L’Italia, geograficamente ben posizionata nell’area mediterranea e notoriamente Paese del Sole, vento e mare, potrebbe svolgere un ruolo da protagonista raggiungendo la Spagna se capacità politica e burocrazia lo permettessero…