L’annuncio di un significativo aumento (+40%) della bolletta elettrica da parte del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è una eventualità che va evitata, per quanto possibile, nell’immediato attraverso scelte di politica fiscale e nel medio-lungo periodo attraverso una seria politica economica e quindi svincolata dalle logiche del mercato, come invece, da anni, avviene nel Nostro Paese.
La causa dell’aumento è determinato dal forte rialzo delle materie prime, il gas in particolare e di cui l’Italia è grande consumatore e importatore.
Gli aumenti, frutto delle dinamiche del mercato mondiale, coinvolge tutti i Paesi altamente energivori, dipendenti dall’estero, Europa compresa.
La crescita economica globale, post-pandemia, ha spinto notevolmente la domanda di energia, mettendo in crisi la produzione e il trasporto, che faticano a stare dietro la richiesta europea.
Pertanto, il prezzo sale in tutti i paesi europei, soprattutto Italia e Spagna.
Inoltre, a consolidare il rincaro, sono gli alti prezzi dei permessi di emissione di CO2.
Infatti, l’assolvimento degli obblighi del mercato ETS delle quote dei gas inquinanti è un elemento di costo nei mercati energetici, che influisce sui prezzi all’ingrosso e su quelli finali: le aziende che producono anidride carbonica devono pagare per questo, comprando quote di emissioni nel sistema europeo ETS.
Ricordiamo che il sistema EU ETS è una pietra miliare della politica dell’UE per contrastare i cambiamenti climatici e rappresenta uno strumento fondamentale per ridurre in maniera economicamente efficiente le emissioni di gas a effetto serra.
Il prezzo di queste quote viene aumentato gradualmente, per spingere le aziende a decarbonizzare e quindi “costringere” i consumatori del carbone a spostarsi verso il gas, e quindi delle tariffe in bolletta.
Inoltre, la maggior parte delle centrali in cui si produce corrente sono centrali termoelettriche che per produrre energia elettrica bruciano soprattutto gas.
Per questo ad aumentare sono anche i costi nella bolletta della luce.
Quindi, gli aumenti vanno a colpire sia i redditi delle famiglie che delle imprese che rischiano di perdere competitività fino alla sospensione delle produzioni a causa dell’aumento dei costi dell’energia.
Ma, un rialzo della bolletta elettrica è in netta controtendenza rispetto alle politiche di sostegno alla ripresa economica in atto nel mondo, in Europa col Next Generation EU, e in particolare in Italia col PNRR che ne è il principale strumento attuatore.
Lasciare correre la dinamica del mercato senza porvi opportuni correttivi, che solo i governi possono attuare, rischierebbe di vanificare ogni sforzo di ripresa che è stato possibile, per quanto ci riguarda più direttamente, con le nuove regole europee e l’enorme coinvolgimento finanziario pubblico assunto, per la prima volta, in modo solidale dall’UE.
L’attenzione va, dunque, posta sempre più sulla politica, che è chiamata a fare un doppio sforzo di innovazione.
Da un lato per trovare soluzioni praticabili a breve, che però non possono limitarsi ad interventi per diminuire la pressione fiscale in bolletta.
Questo va fatto, ma non può bastare nei tempi medio – lunghi.
Dall’altro occorre ponderare in modo assai puntuale le misure più strategiche della transizione ecologica, le loro modalità e i tempi, per fare sì che non si producano effetti collaterali negativi sul piano economico e sociale come quelli che l’aumento dei costi energetici comporterebbero.
Perché, occorre dirselo onestamente, in parte questi aumenti sono il portato di un cambio del paradigma energetico non sempre coordinato con una parallela riconversione del sistema produttivo.
La transizione ecologica non si realizza puntando solo sulla sostituzione delle fonti energetiche attuali con quelle rinnovabili e poi che “sotto” si adeguino.
Occorre accompagnare il sistema produttivo verso una riconversione che lo metta in condizione di non arrestarsi per l’insostenibilità di cambiamenti non complessivamente coordinati anche sul piano economico e sociale.
La salvaguardia e il rilancio del sistema produttivo, nella sua transizione, non è un tema che riguardi solo gli operatori di mercato e le imprese, ma coinvolge direttamente i livelli dell’occupazione, i redditi da lavoro e la vita delle famiglie.
Occorre un nuovo ambientalismo, dunque, che sia pure socialmente e industrialmente sostenibile, ma fatto anche di scelte assunte d’intesa tra i Paesi europei che vadano tutte nella stessa direzione.
Anche per correggere, quando serva, le dinamiche del mercato, come si è fatto con il quantitative easing e col gigantesco intervento finanziario pubblico in Usa ed Europa, il cosiddetto liberalismo solidale.
Inoltre, occorre guardare oltre, come lo stesso Cingolani suggerisce, con l’ipotesi di un interesse italiano verso la produzione di energia atomica di nuova generazione.
Un tema serio, di prospettiva che, visti gli enormi progressi della ricerca sull’atomo sicuro e pulito, deve essere preso in considerazione e dove l’Italia deve continuare a partecipare alla ricerca, insieme ai Paesi più avanzati per non farsi trovare impreparata.
La politica deve comprendere che la sostenibilità da affermare è anche quella di un nuovo ambiente sociale ed economico nel quale dovremo vivere e che il risultato non deve essere quello di scaricare semplicemente in una bolletta i costi di una transizione ecologica separata dal contesto e su questo il lavoro il governo Draghi con il supporto di Cingolani, Colao e Franco, sulle transizioni intelligenti, deve proseguire.