Record del lavoro a contratto indeterminato in Italia tra settembre e novembre 2022. Contro ogni previsione elaborato sotto l’afa estiva, i dati confermano il trend crescente dei posti lavoro con contratto indeterminato che sono arrivati, statisticamente, ai massimi storici. A confermarlo è l’ISTAT riportando dati più che soddisfacenti. L’istituto ha certificato ben 117 mila posti a tempo indeterminato in più che si aggiungono agli 82 mila già segnalati dai dati di settembre. Una crescita che se continuasse con questo andamento, al completamento dei 12 mesi potrebbe raggiungere il famoso Milione di posti di lavoro! Ma come può essere tutto ciò, considerando quello che sta accadendo nel mondo e le conseguenti negative ripercussioni economiche al limite della recessione? Probabilmente, la spiegazione più semplice riguarda le scelte delle aziende. Le imprese, sempre più strette dalla morsa della carenza hanno iniziato a stabilizzare, progressivamente in base alle scadenze dei contratti a tempo determinato, i lavoratori che hanno precedentemente assunto. Questi, da precari, dopo avere trascorso del tempo all’interno delle aziende, hanno acquisito conoscenze e competenze tali da garantirgli la stabilizzazione. Poiché, l’offerta di competenze nel mercato del lavoro soffre, le aziende si garantiscono il futuro. Soprattutto perché, il Covid, ha generato una complessa riflessione sul senso del lavoro, sul valore del tempo libero e ha amplificato tendenze già conosciute di difficoltà nel reperimento di manodopera specializzata all’altezza delle trasformazioni organizzative in corso nel sistema produttivo. Le stesse agenzie interinali, confermano quanto sta avvenendo, generando qualche preoccupazione nell’ambiente per il futuro. Infatti, se le competenze vengono stabilizzate con contratti a tempo indeterminato, sono quelli a tempo determinato a subire un rallentamento. Pertanto il problema comincia a porsi. Soprattutto in un momento in cui l’incertezza del futuro regna sovrana tra le aziende. Sono troppe le insicurezze in materia di tendenze dei mercati, costi energetici, livelli di inflazione, ecc. Un problema da affrontare per l’imminente futuro che si potrebbe contenere con importanti iniziative a favore al mercato del lavoro. Tutto questo avviene in un contesto generale in cui il nostro Paese ha i più bassi salari dei Paesi Ocse. Infatti, nel corso degli ultimi 30 anni, l’Italia è l’unico Paese ad aver registrato un calo dei salari (- 2,9%) a fronte di una crescita media dei Paesi Ocse del 38,5 per cento. Nonostante che nello stesso periodo la produttività sia cresciuta del 21,9%. Pertanto è evidente che i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro non hanno funzionato e che c’è da metterci “mano”. Nell’ultimo decennio (2010-2020), in particolare, i salari sono diminuiti dell’8,3 per cento.