a cura del Dipartimento Ambiente e Sostenibilità Fismic Confsal
COP26 è la 26a Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che sta avendo luogo in questi giorni a Glasgow, nel Regno Unito, e che terminerà il prossimo 12 novembre. All’evento stanno partecipando oltre 30.000 persone, dai leader mondiali alle ONG, imprese, giornalisti, lobbisti, negoziatori e manifestanti. L’Italia ha collaborato ospitando e curando gli eventi preparatori alla conferenza: il vertice introduttivo “pre-Cop” e quello parallelo “Cop4youth“, dedicato ai giovani. Negli ultimi giorni del mese di settembre e nei primi di quello di ottobre infatti, la città di Milano ha visto svolgersi negoziati, presentazioni di proposte e manifestazioni di piazza in cui tutti i partecipanti si sono dimostrati concordi nell’affermare che è necessario fare di più e tutti insieme per raggiungere l’obiettivo prescritto dall’Accordo di Parigi. Successivamente, il 12 ottobre scorso, il presidente designato della COP26 Alok Sharma, ha pronunciato un discorso invitando i leader di tutti i paesi a rispettare il sopra citato accordo sul clima firmato nel 2015 ed esortandoli a intraprendere azioni ambiziose necessarie per passare a un mondo più pulito. A questo punto è opportuno però soffermarci un istante sull’Accordo di Parigi, cos’è esattamente? Cosa prevede? Perché se ne ribadiscono gli obiettivi? L’Accordo di Parigi è un trattato internazionale giuridicamente vincolante il cui scopo è quello di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2 °C oltre i livelli pre-industriali (1850-1900) e di limitare tale incremento a 1.5 °C. Purtroppo a sei anni di distanza, dei 197 paesi firmatari, molti non hanno ancora proposto piani volontari di riduzione delle emissioni e secondo un report stilato dall’Organizzazione meteorologica mondiale e dal Met Office britannico, attualmente abbiamo circa il 40% di possibilità che nei prossimi 5 anni la temperatura globale media annuale raggiunga gli 1,5°C di aumento e una probabilità del 90% che tra il 2021 e il 2025 andremo incontro alle temperature più alte mai registrate. Se così fosse, l’impatto ambientale sarebbe devastante a cominciare dall’aumento delle temperature delle terre emerse e degli oceani, per continuare con forti precipitazioni in alcune regioni e siccità in altre, acidificazione degli oceani, impatti sulla biodiversità, sugli ecosistemi e innalzamento del livello del mare. Solo per citarne alcuni. È questo il motivo per cui la COP26 è considerata la scadenza per il piano d’azione utile a raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima e per fare in modo che l’ambita meta venga raggiunta, sono 4 le azioni reputate fondamentali e che il presidente Alok Sharma ha poste in primo piano:
- Ridurre significativamente le emissioni di gas serra entro il 2030 e raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050.
- Intraprendere azioni concrete per realizzare suddetti piani, includendo gli accordi sulla riduzione del carbone, il passaggio alle auto elettriche, la protezione degli alberi e la riduzione delle emissioni di metano.
- Onorare l’impegno di destinare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare il cambiamento climatico e raggiungere uno sviluppo pulito. I paesi sviluppati devono infatti assumersi nuovi impegni di finanziamento pubblico e privato per sostenere i paesi meno sviluppati che sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici e hanno più in difficoltà nel riuscire a fare progressi nell’adattamento ai cambiamenti climatici.
- Negoziare un risultato che apra la strada a un decennio di miglioramento ancora maggiore.
Su queste basi quindi i leader mondiali partecipanti alla COP26 sono chiamati a discutere e definire impegni che saranno decisivi per affrontare il cambiamento climatico. L’Unione Europea che da subito si è impegnata con i suoi contributi promessi stabiliti a livello nazionale (NDC) a ridurre del 55% i gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere poi nel 2050 delle emissioni nette pari a zero, in previsione della COP26, ha reso i suoi obiettivi più ambiziosi e a luglio di quest’anno ha sviluppato un pacchetto denominato Fit for 55 che comprende 13 proposte legislative e iniziative politiche.
Il pacchetto si basa sulla revisione di regolamenti e direttive che riguardano: il sistema europeo di scambio di quote di emissione (EU ETS), l’uso del suolo e la silvicoltura (LULUCF), le emissioni di CO2 di autovetture e furgoni, la promozione delle energie rinnovabili, l’efficienza energetica, la realizzazione di infrastrutture per combustibili alternativi e la tassazione dei prodotti energetici.
Prevede inoltre un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, carburanti sostenibili per l’aviazione e per il trasporto marittimo, un fondo sociale per il clima e una strategia per le foreste per il 2030.
Arrivando alle conclusioni possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che la COP26 suona come un’ultima chiamata per attivarsi fattivamente e scongiurare la brutta sorte a cui il pianeta è destinato, quello che noi tutti possiamo auspicarci è di essere arrivati finalmente ad un punto di svolta e non di non ritorno. “L’accusa fatta da Greta Thunberg in modo più esplicito, dalla regina Elisabetta e dal Papa in modo più moderato, che i potenti del mondo sono solo capaci di “fare bla, bla, bla” è grave e non completamente fondata sulla base delle iniziative finora intraprese, sia dall’Europa che nel mondo. Certo è stato grave essere inadempienti rispetto all’Accordo di Parigi, inadempienza determinata dal dietro front operato dagli Usa e l’assenza di Cina, Russia, Brasile e India. Se tale situazione dovesse ripetersi e ancora una volta Russia, Cina, Brasile e India dovessero chiamarsi fuori dall’assumere impegni concreti per ridurre l’impatto ambientale, ci troveremo ad affrontare una situazione molto più grave di quanto non lo sia già” dichiara in conclusione Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic Confsal.