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Green pass, ci può essere un obbligo giuridico alla vaccinazione?

Una questione sicuramente complicata, perché non riguarda la libertà del singolo individuo ma la protezione della salute collettiva...

“La mia libertà finisce dove comincia la vostra” la frase, attribuita a Martin Luther King esprime principi fondamentali dove ognuno di noi dovrebbe riconoscersi, quali il rispetto, la tolleranza e, soprattutto, il buon senso.

Tuttavia, in tempi pandemici, tali principi sembrano essere andati in “crisi” profonda, soprattutto in una situazione sanitaria così complessa come quella del Covid-19 che tra “very e fake news”, improvvisati responsabili della gestione dell’emergenza, i contraddittori pensieri degli “esperti”, gli sfrenati interessi economici delle case farmaceutiche, hanno innescato una collettiva pantomima e mandato a benedire il buon senso.

La questione è sicuramente complicata, perché non riguarda la “libertà” del singolo individuo ma la protezione della salute del bene collettivo, pertanto di tutti.

La vaccinazione di massa è stato l’innesco al confronto tra i PRO/NO-vaccinazione a livello mondiale con lo “slogan” la mia libertà di non vaccinarmi finisce dove comincia la tua che vuoi esserlo.

L’Europa ha lanciato l’idea del green pass europeo per consentire una ripresa degli spostamenti interni alla UE in sicurezza, per agevolare una ripresa alla normalità per le persone e quindi anche per l’economia.

L’idea ha generato notevoli discussioni e perplessità, ma molti paesi si sono attivati verso questa direzione come la Francia, dove il governo, ha intrapreso la strada del GREEN-PASS, quindi di limitare la libertà a chi non è vaccinato e di fatto introducendo un “obbligo” alla profilassi.

Tali misure si stanno discutendo da giorni anche in Italia con dibattiti accesi e numerose proteste in molte città, e a rincarare la questione è la Confindustria, già protagonista con i centri di somministrazione vaccinale aziendali, che propone il Green Card aziendale.

Che la vaccinazione, almeno per il momento, sia l’unica arma farmacologica utile per limitare la diffusione e la mortalità del Virus è palese.

Ciò nonostante, essa presenta alcune problematiche quali la reperibilità dei vaccini sul mercato, la loro distribuzione e il numero delle persone che la rifiutano.

L’argomento che più appassiona in questi giorni è il numero delle persone che non hanno intenzione di vaccinarsi o che comunque vogliono ancora attendere.

Questa è una questione che apre vari risvolti di diversa natura: culturale, giuridica, etica e per alcune categorie, come quella dei sanitari, anche deontologica.

Tralasciando le varie opinioni che ognuno di noi può avere su tale argomento il punto della questione è; ci può essere un obbligo giuridico alla vaccinazione? Possono obbligarmi a vaccinarmi?

Da oltre un anno tale argomento sta “scervellando” i giuristi non solo a livello nazionale, ma mondiale.

Le divisioni spesso sono nette e il sottoscritto che scrive, certamente non ha le competenze per risolvere la questione, ma di certo è singolare come tutti facciano riferimento, per sostenere le proprie tesi, alla Costituzione e all’articolo 32, che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

È palese che il problema sia di natura politica, tra chi sostiene che l’articolo stabilisca che sia lo Stato ha tutelare la salute pubblica e che per farlo può adottare provvedimenti forzosi per evitare, in questo caso, il diffondersi dell’epidemia, mentre altri sostengono invece che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario.

Se analizziamo la realtà dei fatti, già ci sono delle categorie professionali che hanno l’obbligo di vaccinazione contro il tetano, l’epatite, la tubercolosi, pertanto questa condizione apre già la strada, in alcuni settori, ad eventuali provvedimenti che possono andare dalla sospensione della retribuzione a quella del licenziamento se un lavoratore si rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione ma per coloro che non rientrano in questi casi?

Fino a quando il problema si riferisce al singolo individuo il problema non nasce, ma quando si pone in termini di salvaguardia del bene collettivo della salute?

È il medesimo quesito che il legislatore si è posto riguardo al fumo passivo provocato dai fumatori.

Quando, il buon senso e l’educazione non sono sufficienti a garantire i principi di libertà individuale e collettiva in termini di salute sanitaria, tra fumatori e non, si è introdotta la legge sul fumo.

Pertanto è corretto che si prendano provvedimenti al riguardo, ma che non siano repressivi come qualche imprenditore vuole fare; “non sei vaccinato? Allora rimani a casa, ti pago sei mesi e poi ti licenzio”, o come qualche associazione di categoria che invece di fare impresa pensa di sostituirsi al legislatore dichiarando la volontà di introduzione del Green Pass aziendale.

Per questo deve essere la politica, svolgendo il ruolo che gli compete, a garantire quel buon senso collettivo che in questo momento ha la necessità di essere sostenuto “legislalmente”, e se per qualche politicante può essere argomento indigesto, non è il momento di guardare alle opportunità politiche o sondaggi vari.  

La “forzatura” al buon senso è necessaria per garantire e difendere la patria del diritto, e ci prova la CONFSAL (Confederazione Sindacale Autonoma Lavoratori) a lanciare una sua proposta tramite il suo segretario generale Angelo Raffaele Margiotta commentando la proposta dell’obbligo alla vaccinazione sul posto di lavoro.

Margiotta sottolinea che il pericolo che possono rappresentare i non vaccinati per i colleghi di lavoro è un problema reale e serio che non può essere oggetto di atteggiamenti liquidatori o unilaterali.

Pertanto, occorre affrontare il problema con equilibrio per giungere a una soluzione ponderata e condivisa pur non volendo ignorare o minimizzare la paura (giustificata o meno) che attanaglia molte persone all’idea di sottoporsi alla vaccinazione.

Pertanto, il leader sindacale della confederazione Confsal ritiene, che la libertà individuale di non vaccinarsi, pur legittima in punta di diritto, non possa prevalere rispetto al diritto alla salute di tutti gli altri e sulla base di queste considerazioni propone l’incentivo alla vaccinazione, concedendo al lavoratore tre giorni di permesso retribuito per ciascuna dose e nel caso in cui il lavoratore non si vaccini, la obbligatorietà a eseguire tamponi antigenici quotidianamente prima della attività lavorativa.

Inoltre, nel caso, legittimo, di rifiuto alla vaccinazione, non si deve dar luogo al licenziamento, come pure alcuni giuristi ipotizzano, ma si deve disporre la sospensione del rapporto di lavoro fino a quando la mancata vaccinazione determina una situazione di pericolo per la salute degli altri lavoratori.Una proposta che farà certamente discutere, ma certamente sottolinea come l’obbligo di vaccinazione nei luoghi di lavoro deve essere affrontato con ponderazione e soprattutto con il Buon Senso da parte di tutti.

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