Continua il declino economico dell’Umbria, questo è il triste risultato che emerge dal report della Banca d’Italia presentato nella Conferenza regionale dell’economia del lavoro.
Secondo i dati forniti , l’economia umbra mostra un ritardo nello sviluppo di circa dieci anni rispetto al resto d’Italia e di 25 anni rispetto all’Unione europea e con un PIL regionale 2020 paragonabile ai livelli di fine anni 80 mentre quello italiano è simile alla vigilia degli anni 2000.
Uno stato economico “comatoso” che ha radici profonde e lontane quello umbro ulteriormente aggravato dal Covid-19.
I dati del report di Banca d’Italia confermano i dati ISTAT, secondo i quali negli ultimi 15, l’Umbria non ha migliorato la sua condizione rispetto alla media italiana.
Secondo l’ISTAT infatti, se l’Umbria avesse mantenuto lo stesso rapporto del 1995, quindi non facendo né meglio né peggio della media nazionale, ogni umbro oggi avrebbe circa 3mila 381 euro annui di Pil in più.
Il che vuol dire che, a livello complessivo regionale, il Pil umbro dovrebbe essere superiore di circa 3 miliardi di euro l’anno rispetto a quello attuale anziché in meno.
A questo dato si aggiunge, aggravandolo, il sentimento della sfiducia socio-economico presente nella regione, dove tra gli attori economici e tra i cittadini vige uno stato di inquietudine e incertezza e, non vedono una prospettiva di miglioramento della situazione.
Servirebbe il cosiddetto “colpo di reni” per instaurare una nuova ed intensa capacità progettuale e di spinta, che deve necessariamente arrivare da una azione comune, Istituzioni pubbliche, parti imprenditoriali e sociali per cercare di cancellare il messaggio della rassegnazione al degrado socio economico, delle condizioni di vita e di lavoro nella regione e per dare una nuova speranza.
Perché tra le emergenze che la regione deve affrontare, da quella sanitaria a quella socio-economica si aggiunge quella di reperire le giuste e valide competenze, di attrarre le qualità illuminanti e intellettuali, da posizionare nei posti sensibili, nevralgici, centrali del sistema umbro, in modo da connetterli tra loro per fare sinergia e condurre la regione fuori dalla condizione di “pantano” in cui si trova e dirigerla verso un futuro prosperoso.
Ma la mia personale impressione è che non ci siano le condizioni e che questa situazione sia destinata a durare e peggiorare.
Sintesi – N. 10 – L’economia dell’Umbria
Rapporto annuale
Il quadro macroeconomico
Dai primi mesi del 2020 la pandemia di Covid-19 si è diffusa anche in Umbria. Le misure di contenimento del virus e le sospensioni delle attività hanno avuto pesanti ricadute sull’economia umbra, già indebolita dalla pesante eredità della precedente fase di crisi. Le stime di Prometeia indicano un calo del PIL del 9,0 per cento nel 2020, in linea con l’andamento rilevato in Italia.
Le previsioni degli operatori prefigurano un parziale recupero dell’attività nel corso del 2021, favorito dal recente deciso miglioramento del quadro economico globale oltre che dal progredire della campagna vaccinale.
Le imprese
L’attività agricola regionale ha risentito del forte calo dei raccolti, più intenso che in Italia. Nell’industria il fatturato e gli ordini, interni ed esteri, si sono ridotti sensibilmente nel primo semestre, soprattutto nei comparti dei metalli, della meccanica e dell’abbigliamento; la successiva ripresa, interrottasi in concomitanza con il riacutizzarsi dell’emergenza, si è riavviata nei mesi più recenti. L’impatto della pandemia sull’edilizia è stato meno accentuato, dopo un triennio di moderata crescita; l’attività di ricostruzione post-terremoto ha accelerato per gli interventi relativi ai danni di lieve entità e le compravendite immobiliari hanno evidenziato dall’estate un buon recupero, specie per le abitazioni nei centri minori. Nei servizi si è registrato un forte calo del fatturato, in particolare nelle attività commerciali non legate ai beni di prima necessità e nel turismo, i cui flussi si sono dimezzati; solo le vendite di beni alimentari hanno fatto segnare un’espansione.
Gli investimenti, già deboli alla vigilia della crisi, si sono ulteriormente ridotti. Vi è corrisposto un accumulo di ingenti risorse liquide da parte del sistema produttivo, sostenuto anche dalle misure straordinarie a supporto del credito. Le imprese prevedono di riavviare i piani di investimento nell’anno in corso qualora il miglioramento della situazione sanitaria ed economica si stabilizzi.
Il mercato del lavoro
L’impatto della crisi sul mercato del lavoro è stato considerevole. Al calo del numero degli occupati si è associata una diminuzione ancora più marcata delle ore lavorate, anche in relazione all’ampliamento senza precedenti degli strumenti di integrazione salariale. A fronte della tenuta dell’occupazione a tempo indeterminato, che ha tratto beneficio anche dal blocco dei licenziamenti, sono state penalizzate le posizioni meno stabili. Le assunzioni, al netto delle cessazioni, hanno subito una flessione marcata, che ha riguardato soprattutto i servizi, le donne e i giovani. I vincoli posti agli spostamenti e il deterioramento delle prospettive occupazionali hanno limitato la ricerca di un lavoro e provocato un aumento degli inattivi.
La pandemia ha accentuato anche la negativa dinamica demografica degli ultimi anni, legata all’invecchiamento della popolazione e alla minore capacità attrattiva del territorio che ha spinto un numero crescente di giovani laureati a trasferirsi.
Le famiglie
L’andamento della fiducia delle famiglie ha rispecchiato le diverse fasi dell’emergenza pandemica. Gli interventi pubblici di sostegno hanno attenuato significativamente la flessione del reddito familiare e contribuito a contenere l’aumento della disuguaglianza. Il calo dei consumi è stato molto più intenso di quello del reddito anche per la difficoltà a effettuare acquisti e per i timori del contagio. Vi è corrisposto un marcato incremento della propensione al risparmio prudenziale; i depositi sono aumentati anche nelle classi di giacenza più contenute. Il ricorso all’indebitamento ha frenato principalmente per la minore domanda di credito al consumo.
Il mercato del credito
Nel 2020 i prestiti all’economia umbra sono tornati a crescere in misura sostenuta, sospinti dall’ampio ricorso da parte delle imprese ai finanziamenti garantiti dallo Stato. Le condizioni di offerta sono rimaste accomodanti anche grazie al perdurante sostegno della politica monetaria. La qualità del credito non ha ancora risentito della crisi; l’accresciuta rischiosità della clientela ha tuttavia indotto le banche a una maggiore prudenza nella valutazione dei prestiti in portafoglio.
La finanza pubblica decentrata
L’attività degli enti territoriali è stata fortemente influenzata dagli effetti della pandemia e degli interventi di sostegno. Le spese correnti hanno risentito soprattutto del potenziamento straordinario del personale sanitario, quelle in conto capitale dei maggiori investimenti, favoriti anche dagli incentivi statali ai piccoli Comuni. Sono cresciuti anche i trasferimenti a imprese e famiglie che hanno beneficiato della rimodulazione di parte dei fondi strutturali europei. Sul fronte delle entrate, al calo del gettito tributario per il rallentamento delle attività è corrisposto un sensibile incremento dei flussi erariali di sostegno. La pandemia ha evidenziato l’importanza di rafforzare ulteriormente l’assistenza sanitaria territoriale, che nel complesso offre prestazioni lievemente migliori rispetto alla media italiana.
Il grado di digitalizzazione dell’economia
Il grado di digitalizzazione dell’Umbria è in linea con quello dell’Italia e molto inferiore alla media dell’Unione europea. Le principali carenze sono legate alla connettività, alla diffusione delle competenze digitali e agli investimenti delle imprese. Nella fase pandemica queste hanno rappresentato un ostacolo all’utilizzo della didattica a distanza, del lavoro agile e dei servizi finanziari online. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza definito dal Governo nell’ambito del programma Next Generation EU rappresenta un’opportunità per il superamento dei ritardi accumulati dall’economia umbra sulla digitalizzazione come su altri fattori indispensabili per sostenere la competitività del territorio, a partire dall’innovazione, dall’istruzione e dalla ricerca.
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