Il 25 novembre 1960 venivano brutalmente assassinate tre sorelle dagli agenti segreti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Le tre donne avevano 24, 36 e 34 anni e la loro auto fu fermata da degli uomini armati su un ponte della zona di Mara Pica. Quegli uomini erano i militari del SIM, ed erano agli ordini del dittatore Trujillo. Minerva, Maria Teresa e Patria Mirabal venivano uccise in quel lontano 25 novembre di tanti anni fa per le loro idee politiche e perché reputavano un dovere l’esporsi per sostenerle. Venivano uccise perché la loro sfrontata femminilità, il loro modo di essere donne irritava il regime. Tutto fu pianificato dal dittatore Trujillo che per oltre 30 anni sottomise la Repubblica Dominicana tenendola nel caos e nel sangue. Le sorelle Mirabal avevano tentato di contrastare il regime di Trujillo e, per questo, furono assassinate. La data del 25 novembre non è casuale. Si è scelto quel giorno per la lotta alla violenza sulle donne per ricordare tre sorelle coraggiose. Da quel 25 novembre 1960 la violenza contro le donne è sempre più al centro del dibattito pubblico. In un’epoca che si professa civilizzata come la nostra il fenomeno, purtroppo, sta raggiungendo dimensioni sempre più importanti. I dati dimostrano che nonostante il mondo sia sempre più emancipato, alcuni tabù culturali resistono e persistono e i rapporti più civili tra i sessi sembrano essere ancora una conquista lontana. Infatti, secondo l’ultimo rapporto sugli omicidi in Italia, sono 82 le donne uccise in ambito famigliare e affettivo nei primi nove mesi del 2022 (8 in meno rispetto al 2021), 88 considerando i dati al 20 novembre, rispettivamente 42 e 52 per mano del partner o ex. Tuttavia sono dati non sicuri, perché sono pochissime le donne che denunciano di aver subito violenza, e ancora meno poi i casi che arrivano a sentenza. Proprio per questo le stime indicano numeri molto più alti. Dai risultati è emerso che 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri e ancora, le donne subiscono anche molte minacce (12,3%). Spesso sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Mediamente, in Italia ogni 7 minuti un uomo stupra o tenta di stuprare una donna. Ogni 3 giorni nel nostro Paese un uomo uccide una donna.
Contrariamente a quello che possiamo immaginare o credere, che la causa principale di violenza sulle donne non proviene da migranti irregolari rabbiosi, barbari, ragazzi sbandati, persone con problemi di salute mentale o di tossicodipendenza, ma tra l’ambiente familiare. Abbandoniamo quindi questi stereotipi sbagliati e pericolosi, perché oltre essere sbagliati e pericolosi impediscono di raccontare, affrontare e combattere la tragedia della violenza contro le donne. Sono dati ufficiale che dimostrano che i casi di violenza fra coppie che provengono da culture e paesi diversi dal nostro sono largamente minoritari e che la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne fra i 16 e i 44 anni in Occidente e nel mondo è la violenza subita da familiari o conoscenti, mariti, fidanzati, partner ed ex partner, nella maggior parte dei casi italianissimi. Per non citare i tanti, piccoli episodi di violenza quotidiana che impediscono a donne di uscire sole o con amiche da casa perché il marito o compagno glielo impedisce.
Secondo l’avvocatessa e politica Giulia Bongiorno, che ha fondato una delle più combattive associazioni italiane per la repressione della violenza, segnala che molte donne arrivano a convincersi che i maltrattamenti siano semplicemente parte della propria vita di coppia! La frustrazione, la non realizzazione personale dell’uomo, le difficoltà sul lavoro o nella vita, insoddisfazione, sono solo alcune delle motivazioni superficiali di questi eventi. Più in profondità si può trovare il mancato riconoscimento dell’identità delle donne e del fatto che esse hanno, al pari degli uomini, il diritto di realizzarsi e di decidere ciò che è meglio per loro stesse.
Cosa fare quindi? Oltre che avere il coraggio di denunciare, allontanarsi dalla violenza, perché la donna minacciata o violata non è mai sola è la prevenzione, costante a tutti i livelli, che può fare la differenza. Quando vediamo, in qualunque contesto, che qualcosa non va o che sta iniziando a non girare per il verso giusto, bisogna immediatamente agire. Far presente che quella frase, quella avance, quel modo di fare non rispetta né la persona né la donna che siamo è il primo passo per evitare brutte conseguenze. Bisogna mettere dei paletti ogni volta che è possibile, perché la violenza contro le donne è un fenomeno che inizia piccolo e quotidiano, e va fermato proprio a questo livello. Su questo tema, il 7 novembre scorso a Perugia si è svolta, nella sede della Giunta regionale di Palazzo Donini, una tavola rotonda che si è aperta con i saluti del presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, e della Presidente del Centro regionale per le Pari opportunità, Caterina Grechi.
L’obiettivo dell’incontro, ha spiegato la coordinatrice dei lavori, Mara Fabrizio, è di riportare, ancor prima della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, il tema al centro dell’attenzione della comunità e degli addetti ai lavori in ogni ambito. In questo contesto la Regione Umbria quest’anno, ha voluto approfondire la problematica dal punto di vista sanitario.
La presidente Tesei ha evidenziato come “spesso l’intervento degli operatori sanitari avviene quando la situazione di violenza è già avanzata. Ecco perché, ha precisato, la problematica va affrontata facendo squadra e allargando il più possibile il fronte delle interlocuzioni con tutti i professionisti che possono venire a contatto con queste situazioni”. Per la presidente Tesei sono due le parole chiave: “prevenzione e consapevolezza” e proprio relativamente alla consapevolezza ha voluto rimarcare, anche alla luce della sua esperienza professionale, come per molte donne sia “difficile arrivare a maturare la coscienza che alcuni atteggiamenti sono fortemente lesivi della dignità”.
“Per favorire la presa di coscienza, ha concluso, è necessario costruire un percorso con il coinvolgimento di più attori e anche del mondo della scuola”. La presidente del Cpo, Caterina Grechi, dopo aver ricordato che la missione del Centro è quella “di portare avanti politiche che puntino a garantire, attraverso una serie di azioni, pari opportunità nel rispetto delle differenze di genere”, ha voluto porre l’attenzione “sulla necessità di semplificare le procedure visto che, al momento, l’eccessiva burocrazia rischia di rallentare anche le attività dei centri antiviolenza”.
La presidente Grechi tra le attività del Cpo ha evidenziato quella della formazione delle operatrici che entrano in contatto con le donne vittima di un dramma dalla complessità enorme. La giornata è proseguita con l’ascolto dei professionisti e degli operatori sanitari che hanno raccontato esperienze, condiviso riflessioni e lanciato proposte per fortificare un percorso di civiltà che visto la Regione Umbria tra le prime in Italia a dotarsi di una legge in materia.